Da quando decorre il termine per riconseguire la patente a seguito della revoca? Tra difetti di Giurisdizione e barricate del Ministero, lo sguardo dell’operatore del diritto.

Da quando decorre il termine per riconseguire la patente a seguito della revoca? Tra difetti di Giurisdizione e barricate del Ministero, lo sguardo dell’operatore del diritto.

Uno dei temi più delicati per l’interprete giuridico, anche e soprattutto per i riflessi che, ovviamente, ha sulla vita delle persone, inerisce il tema della revoca della patente, vale a dire quel provvedimento, reso dalle Prefetture, con il quale viene inibita la guida fino al conseguimento di un nuovo documento.

In particolare, la normativa prevede che, in caso di revoca della patente di guida, l’interessato non possa conseguire una nuova patente prima che sia decorso un determinato periodo di tempo, e precisamente:

  • tre anni dall’accertamento del reato, se si tratta di revoca disposta in conseguenza dei reati previsti dagli articoli 186, 186-bis e 187 del Codice della strada, ossia guida in stato di ebbrezza e guida sotto l’effetto di stupefacenti (articolo 219, comma 3 ter del Codice della strada: “Quando la revoca della patente di guida è disposta a seguito delle violazioni di cui agli articoli 186, 186-bis e 187, non è possibile conseguire una nuova patente di guida prima di tre anni a decorrere dalla data di accertamento del reato“);
  • tre anni dalla notifica del provvedimento di revoca, se si tratta di revoca disposta dal Prefetto ai sensi dell’articolo 120, comma 2, del Codice della strada, nei confronti di: delinquenti abituali, professionali o per tendenza; coloro che sono o sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali o alle misure di prevenzione previste dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, ad eccezione di quella di cui all’articolo 2, e dalla legge 31 maggio 1965, n. 575; le persone condannate per i reati di cui agli articoli 73 e 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi; i  soggetti  destinatari  dei divieti di cui agli articoli 75, comma 1, lettera a), e 75-bis, comma 1, lettera f,  del  medesimo  testo  unico  di  cui  al  decreto  del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (articolo 120, comma 2, del Codice della strada);
  • due anni dalla definitività del provvedimento di revoca, se si tratta di revoca costituente sanzione amministrativa accessoria (articolo 219, comma 3 bis, del Codice della strada: “L’interessato non può conseguire una nuova patente se non dopo che siano trascorsi almeno due anni dal momento in cui è divenuto definitivo il provvedimento di cui al comma 2“).

Vogliamo soffermarci sulla prima di tale ipotesi (revoca disposta in conseguenza dei reati previsti dagli articoli 186, 186-bis e 187 del Codice della strada), vale a dire l’ipotesi della contestazione della guida in stato di ebbrezza o in stato di alterazione derivante dall’assunzione di sostanze stupefacenti. Fattispecie, queste, purtroppo ancora comuni e che investono, soprattutto la prima, ipoteticamente tutti i cittadini. In queste ipotesi, come già detto, la nuova patente di guida non potrà essere rilasciata prima di tre anni dalla data di accertamento del reato (articolo 219, comma 3 ter, del Codice della strada).

La norma, apparentemente chiara, presenta in realtà l’enorme dubbio interpretativo succitato: cosa si intende per “data di accertamento del reato“?

Al riguardo, l’Amministrazione (Prefettura e Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti) ha sempre inteso la norma in senso restrittivo, fornendo un parere decisamente sfavorevole al cittadino, affermando che la data di accertamento del reato coincide con il momento in cui la sentenza o il decreto penale di condanna passa in giudicato, ossia il momento in cui sono stati esperiti tutti i gradi di giudizio previsti e non è più possibile alcun ricorso giurisdizionale (Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, parere del 6 dicembre 2013, n. 29915; v. anche Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, circolare del 07 luglio 2014, n. 15040).

Questa interpretazione è stata anche ribadita dal Ministero dell’Interno – Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali – Direzione Centrale per gli Uffici Territoriali del Governo e per le Autonomie Locali, con successiva nota del 25 marzo 2014, n. 4670, in cui si legge che “la data di accertamento del reato, da cui decorre il triennio per poter riottenere il titolo abilitativo alla guida, va intesa con riguardo al passaggio in giudicato della sentenza penale e non già con riferimento al momento in cui l’organo accertatore contesta l’infrazione. Tale momento, invero, segna il mero avvio della fase processuale, il cui esito sarà determinato dalla pronuncia del giudice penale e dal successivo passaggio in giudicato della stessa“. Quindi – ribadisce l’Amministrazione – il termine da cui far decorrere i tre anni per conseguire una nuova patente ex articolo 219 comma 3-ter è quello della data del passaggio in giudicato della sentenza (o decreto penale).

A tale tesi, si contrapponeva quella di coloro che sostenevano come tale interpretazione non fosse in linea con le comuni nozioni processualpenalistiche nonchè con l’orientamento giurisprudenziale Cassazione n. III/08/10 del 3 agosto 2010), secondo cui, pacificamente, la data di accertamento del reato è quella in cui il fatto è stato commesso e non quella del passaggio in giudicato della sentenza.

Corretto ricordare come ad incrementare la confusione su un tema tanto importante sia anche stata la Giurisprudenza amministrativa dapprima adita dai diversi ricorsi.

Invero, da un lato, si possono registrare diverse pronunce dei Tribunali amministrativi Regionali i quali confermavano la tesi dell’Amministrazione (Tar Lombardia, sez. Brescia, n. 117/2016).

Dall’altra, invece, altri Giudici propendevano per la tesi opposta: affermando: “il riferimento fatto dall’amministrazione al passaggio in giudicato della sentenza non risulta conforme alle dizione della legge, nonché alla sua ratio, che evidentemente è quella di non consentire la guida a chi si è reso responsabile di un incidente in stato di ebbrezza, ma senza che tale sanzione sia protratta per un tempo indefinito come avverrebbe se il riferimento fosse al passaggio in giudicato, che dipende dai tempi di conclusione del procedimento giurisdizionale ed è quindi soggetto a elementi variabili e diversi per ciascun caso, mentre la data certa è quella dell’accertamento del reato (…) per data di accertamento del reato deve intendersi – secondo un’interpretazione coerente e logica dell’art. 219, la data di contestazione della violazione da parte dell’Organo accertatore”. (Nello stesso senso Tar Piemonte, 14 ottobre 2015, n.1415; Tar Veneto, sentenze n. 1298 e 1299/2015 ottenute dal sottoscritto difensore).

A sgombrare il campo definitivamente da ogni speculazione, sembrava essere intervenuto il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2416 del 6 giugno 2016, che decretava come il triennio di revoca della patente a causa della guida in stato di ebbrezza decorrerebbe dal passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna, e non dall’accertamento dell’infrazione.

Ovviamente, non è così visto che pochi mesi prima, sempre il Consiglio di Stato si era pronunciato (sentenza 235/2016 del 25.01.2016) dichiarando la carenza di Giurisdizione del Giudice amministrativo a favore del Giudice ordinario.

Seguendo quest’ultimo orientamento, quindi, i soggetti destinatari del provvedimento di revoca della patente rivolgevano al Tribunale ordinario le medesime doglianze già sollevate al Giudice Amministrativo e volte alla verifica dell’effettivo momento da cui decorrerebbero i tre anni di revoca.

Altro elemento di rilevanza sostanziale sollevato era quello del cd presofferto cautelare: il periodo di tempo oggetto della misura cautelare della sospensione della patente per come attuato dalla Prefettura (che, nell’ipotesi migliore, era di un anno) poteva essere scomputato dal triennio di revoca, di fatto riducendo il termine per poter riconseguire il documento di guida?

In sostanza, ci si chiedeva se, dopo aver già sofferto un anno di sospensione della patente, l’interessato dovesse essere privato per altri tre anni del documento di guida.

Ovviamente, anche questa risposta trovava parere negativo da parte delle Amministrazioni interessate le quali sottolineavano la sostanziale differente finalità dei due provvedimenti ablativi, il primo avente mera natura cautelare, l’altro di sanzione accessoria, con naturale incompatibilità dell’una con l’altra che dovevano, quindi, finire per cumularsi.

 In un primo tempo, la Giurisprudenza pareva scegliere una via di mezzo tra le posizioni dei ricorrenti e dell’Amministrazione, affermando, infatti, da un lato come “un reato può dirsi definitivamente accertato solo quando la pronuncia giudiziale che ne ha provato la sussistenza acquisti efficacia di giudicato. Da ciò consegue che il termine triennale per conseguire una nuova patente decorre dal passaggio in giudicato della pronuncia giudiziale”.

Per il Tribunale Meneghino, quindi, il triennio da cui decorrerebbe la revoca inizierebbe col passaggio in Giudicato della sentenza penale (o del decreto penale), non rilevando, invece, la data di accadimento del fatto.

Dall’altro, tuttavia, affermava la necessità di scomputare il presofferto di sospensione cautelare dal triennio in quanto: “Non appare condivisibile la tesi del ministero convenuto che, ritenendo la difformità tra le due diverse misure e tra le finalità perseguite, nega la detrazione. Ritiene questo Giudice che la diversa natura e la diversa finalità della sospensione amministrativa e della revoca effettuata dal giudice penale, non possano incidere sul computo del periodo di sospensione comminato all’autore del fatto illecito, stante l’unicità dell’evento e l’illegittima e gravosa duplicazione delle conseguenze che ne deriverebbero”.

Dello stesso avviso era il Tribunale di Treviso nell’ordinanza del 18.07.2019 la quale accoglieva parzialmente il ricorso riconoscendo di dover detrarre dal triennio di revoca il periodo di sospensione cautelare disposto dal Prefetto quale presofferto.

Entrambe le sentenze, ottenute da questo difensore, sono a disposizione.

Sembra, da ultimo, che a definire una volta per tutte la questione sia stata la Suprema Corte di Cassazione la quale, recentissimamente, ha bocciato integralmente le tesi dell’Amministrazione adita non solo sulla questione del presofferto, necessariamente da scomputare dal termine dei tre anni, ma anche, momento di grande rilievo, per quanto atteneva la stretta interpretazione del termine “accertamento” del reato ex art. 219, comma 3-ter, da individuarsi nel momento di accadimento del fatto e non di quello del passaggio in giudicato della sentenza.

Appare opportuno richiamare i contenuti del provvedimento (Cass. Pen. N. 126/2020) per il particolare pregio dell’analisi svolta.

Ciò posto, mette conto – ancora – osservare che la revoca della patente non ha natura sanzionatorio/repressiva; a tal proposito giova richiamare la condivisibile pronuncia di questa stessa Sezione (Sez. 4, n. 42346 del 16/05/2017 Cc. – dep. 15/09/2017 – Rv. 270819) in forza della quale (con riferimento al quarto periodo dell’art. 222 C.d.S., comma 2, introdotto dalla novella del 2016, ma pur sempre con riferimento alla sanzione amministrativa della revoca della patente) “È manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 222 C.d.S., comma 2, quarto periodo, in relazione agli artt. 3 e 27 Cost., nella parte in cui prevede l’obbligo della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida, poiché tale sanzione non ha natura “sostanzialmente ò penale”, secondo l’interpretazione dell’art. 7 CEDU adottata dalla Corte di Strasburgo, atteso che la previsione di una sanzione amministrativa irrogata all’esito di un giudizio penale non elude le garanzie proprie del processo penale, nè pone un problema di estensione dell’applicazione del divieto del “ne bis in idem”, non essendo l’imputato sottoposto ad un procedimento amministrativo e ad un procedimento penale per il medesimo fatto. (In motivazione la Corte ha precisato che l’obbligatorietà della sanzione amministrativa rientra nell’esercizio ragionevole della discrezionalità del legislatore nazionale, trattandosi di sanzione con chiara finalità preventiva e non repressiva)”. Dalle considerazioni che precedono può dedursi l’analoga natura che caratterizza la sospensione provvisoria della patente di guida e la revoca della patente di guida. In entrambi i casi si tratta di sanzioni adottate a fini di prevenzione generale cioè al fine di impedire al soggetto la reiterazione di condotte analoghe a quelle già poste in essere e a tutela dell’incolumità pubblica generale a fronte di condotte idonee a suscitare un particolare allarme sociale. Questo costituisce un argomento che porta ad assimilare la valenza delle due sanzioni e che non impedisce di ritenere che la revoca costituisca la sanzione definitiva in progressione rispetto a quella applicata in via provvisoria (mediante la sospensione provvisoria prefettizia) al soggetto che ha cagionato l’incidente guidando in stato di ebbrezza alcolica. La revoca costituisce l’effetto peggiorativo (sul titolo di guida) della causazione di un incidente stradale da parte di chi guida in stato di ebbrezza e non pare ragionevole consentire il cumulo fra i due periodi. A ciò consegue la condivisibilità della prospettazione in forza della quale il triennio di revoca (triennio secco) va conteggiato dall’accertamento del reato da intendersi quale accertamento del fatto-reato da parte degli agenti operanti. In tal modo il periodo di inflitta sospensione provvisoria va scomputato dal triennio di durata ex lege della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente. Contrariamente opinando si farebbero gravare sul soggetto sanzionato gli aspetti che dipendono dall’organizzazione dell’amministrazione della giustizia, cioè la durata delle indagini preliminari e del processo penale; costui patirebbe la sanzione della sospensione per tutti gli anni di durata del provvedimento provvisorio per poi patire ulteriori tre anni di revoca.Che si debba attendere l’irrevocabilità della sentenza penale di condanna per poter dare inizio alla fase di competenza del prefetto, deriva dal fatto che solo in quel momento il prefetto diviene competente quale organo dell’esecuzione della sanzione amministrativa accessoria (la cui statuizione è divenuta definitiva) e quindi va interpellato dal soggetto che è interessato a intraprendere un nuovo esame di guida. Prima del giudicato, la sanzione amministrativa accessoria non si è stabilizzata come dictum e quindi la figura esecutiva del prefetto non può ancora entrare in gioco ma ciò non significa che il triennio debba essere calcolato solo dal giudicato essendo diversi gli ambiti”.

Facciamo un esempio pratico, alla luce dell’insegnamento della Suprema Corte.

Un soggetto viene trovato positivo all’alcoltest il 01.01.2017 e contestualmente gli viene ritirata la patente: quindi data accertamento del fatto 01.01.2017.

Perviene, dopo qualche mese, decreto prefettura: sospensione cautelare della patente per anni 1 la quale viene scontata come presofferto;

Interviene il passaggio in giudicato della sentenza penale (o del decreto penale di condanna) in data 01.01.2020.

In questo caso, il soggetto potrà richiedere alla Motorizzazione l’autorizzazione a svolgere gli esami per il conseguimento della nuova patente ed allo stesso non potrà essere opposto alcunché in quanto dalla data di accertamento del fatto (01.01.2017) al momento del passaggio in giudicato della sentenza o del decreto penale di condanna (01.01.2020) sono trascorsi i 3 anni previsti dall’art. 219 comma 3 – ter CdS.

Nell’ipotesi contraria, vale a dire che gli venga negata la possibilità, egli potrà adire il Giudice Ordinario con fondati motivi per veder accolto il proprio ricorso.

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