Gli screenshot possono essere usati come prova nel processo penale?la valutazione dell’interprete, dalle semplici regole di buona educazione alle norme processuali

Gli screenshot possono essere usati come prova nel processo penale?la valutazione dell’interprete, dalle semplici regole di buona educazione alle norme processuali

“Fare uno screenshot”, cioè scattare una fotografia di ciò che appare in un preciso istante sullo schermo del proprio telefono cellulare, è diventata un’azione frequente, soprattutto quando si tratta di “immortalare” messaggi di testo ricevuti.

In particolare, questa operazione è utile perché mostra chiaramente chi è il mittente di quel messaggio o, comunque, il numero di telefono di questi.

Di conseguenza, quel “messaggio fotografato” potrebbe essere utilizzato come prova contro il suo mittente, qualora, ad esempio, egli venga imputato in un processo penale e dal messaggio inviato dipenda la prova della sua colpevolezza o innocenza.

Il condizionale però è d’obbligo, perché non è così scontata la sua utilizzabilità come elemento di prova.

La normativa

Nel processo penale esiste una rigorosa disciplina circa l’utilizzabilità degli elementi di prova, cioè la colpevolezza dell’imputato può essere dichiarata solamente in presenza di elementi che le norme di diritto processuale penale definiscono “mezzi di prova”.

Tra i mezzi di prova vi è la prova documentale, che l’articolo 234 del codice di procedura penale definisce scritti o altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo.

Leggendo questa norma, quindi, sembra che gli screenshot di messaggi apparsi sullo schermo di apparecchi informatici (quali, ad esempio, smartphone, tablet e computer) rientrino in questa categoria di prova, potendoli considerare documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia.

Tale affermazione risulta confermata da una recentissima sentenza della Suprema Corte di Cassazione, secondo la quale non vi è “alcuna illegittimità nella realizzazione di una fotografia dello schermo di un telefono cellulare, sul quale compaiano messaggi sms, allo scopo di acquisirne la documentazione, non essendo imposto dalla legge alcun adempimento specifico per il compimento di tale attività, che consiste, sostanzialmente, nella realizzazione di una fotografia e che si caratterizza solamente per il suo oggetto, costituito, appunto, da uno schermo sul quale siano leggibili messaggi di testo, non essendovi alcuna differenza tra una tale fotografia e quella di qualsiasi altro oggetto, con la conseguente legittimità della sua acquisizione.” (Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 2 marzo 2020 n. 8332).

La questione della provenienza dei messaggi

Chiarita la questione sulla possibilità o meno di portare come prova nel processo penale lo screenshot di un messaggio contenuto in un supporto informatico, resta da capire se tale elemento possa dimostrare che il messaggio provenga proprio dal mittente che appare in esso.

In proposito, occorre ricordare uno dei principi che regola il processo penale, ossia quello del libero convincimento del giudice nella valutazione della prova.

Sulla base di questo principio, il giudice è libero di valutare l’attendibilità della provenienza della prova e se questa è idonea a ritenere colpevole l’imputato.

Tuttavia questa libertà non è assoluta, perché il giudice è obbligato a motivare la sua decisione. Stabilisce infatti l’art. 192 comma 1 c.p.p.: il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati.

Per rispondere quindi al quesito iniziale, si può affermare che la valutazione sulla provenienza di un messaggio contenuto in un supporto informatico, offerto come prova attraverso lo screenshot, è rimessa alla libertà del giudice, il quale comunque deve motivare la propria decisione.

In proposito, pare utile riportare il caso sottoposto alla Suprema Corte di Cassazione, che si è pronunciata con la sentenza sopra richiamata.

Un uomo veniva imputato del reato di violenza sessuale aggravata (artt. 609-bis e 609-ter co. 1 n. 1 c.p.), per avere costretto con violenza una minore di quattordici anni a subire atti sessuali. Ne conseguiva la condanna in primo grado e in appello, per cui la difesa proponeva ricorso per cassazione. In particolare, il difensore dell’imputato lamentava che il giudice dell’appello non aveva motivato la decisione di ritenere infondata la propria eccezione di inutilizzabilità di una prova, basata sull’acquisizione di sms pervenuti sul telefono cellulare della madre della persona offesa e solo fotografati. Per questo motivo, la difesa riteneva che non fosse certa la provenienza di tali messaggi, considerato che non era stata disposta una perizia informatica volta ad accertarne il mittente e che non vi erano elementi idonei a collegare l’utenza telefonica dalla quale erano stati inviati, poiché quest’ultima risultava intestata ad un utente pugliese, mentre l’imputato risiedeva a Bergamo.

I giudici della Suprema Corte rigettavano l’intero motivo di ricorso.

Infatti, in primo luogo, come già sopra illustrato, essi ritenevano validamente acquisita la prova costituita dalle fotografie dei messaggi, precisando che la legge non impone alcun adempimento specifico a riguardo.

Con riferimento alla questione sulla provenienza dei messaggi, i medesimi giudici affermavano che la decisione del giudice d’appello di attribuirla all’imputato era avvenuta in modo logico, sulla base del loro contenuto, in quanto con gli stessi l’imputato aveva chiesto ripetutamente alla madre della vittima di indicargli un prezzo per aver dato un bacio alla figlia.

Nel caso appena illustrato, quindi, il giudice ha ritenuto che i messaggi di testo estrapolati dal supporto informatico tramite fotografia provenissero dal mittente in essi indicati sulla base di un ragionamento logico, il quale poi è stato esposto in motivazione.

Conclusioni

Per concludere e tornare al nostro quesito iniziale, la lettura della Giurisprudenza citata permette di affermare la piena utilizzabilità degli screenshot quale prova contro il mittente / destinatario dei messaggi screenshottati: attenzione, quindi, ai termini che utilizziamo nelle nostre conversazioni perché, al di là di una generale regola di educazione e civiltà che, sempre, dovrebbe permeare i nostri dialoghi, questi possono essere usati pienamente contro noi stessi nell’ambito anche di un giudizio penale.

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